Prefazione
E’ sufficiente gettare lo sguardo sulle mappe militari della prima metà del 600 per rendersi conto del principale teatro operativo e strategico della sanguinosa guerra dei 30 anni. Le armate imperiali, svedesi, francesi, tedesche e olandesi scorrazzarono in lungo e in largo sui territori del Sacro Romano Impero, l’attuale Germania, la Boemia e poi i Paesi Bassi e la Lorena. Questi soldati cozzarono fra di loro in battaglie rese celebri dalla storia come: La Montagna Bianca, Breitenfeld, Lutzen, Nordlingen e Rocroi. A sud delle Alpi, sulla penisola si assistette per contro a scontri più sporadici, non per questo meno sanguinosi e deleteri, ma certamente meno numerosi. Del resto in Italia non vi erano forti stati protestanti (la causa religiosa come noto fu assai importante nella prima fase del conflitto trentennale). La Spagna controllava gran parte della penisola, altri stati come Venezia e il papato si defilarono in quel mezzo secolo cruciale. La conseguenza fu che gli storici non considerarono troppo le vicende militari italiane di quegli anni. Eppure anche gli italiani non se ne stettero troppo tranquilli e diedero vita a numerose guerricciole e insurrezioni, che tuttavia esulavano dallo scacchiere strategico del centro Europa. Nel meridione d’Italia ricordiamo la rivolta di Masaniello a Napoli, quella di Fermo, la guerra di Castro e quella dei presidi. Più direttamente collegate a ciò che accadeva oltre le Alpi, e oggetto del nostro studio furono invece: il Sacro macello di Valtellina del 1620 (pressoché unico caso di scontro religioso in Italia). L’invasione francese della Savoia (allora alleata o vicina agli Imperiali). La guerra di Genova. Le guerre del Monferrato e di Mantova. Conflitti che il nostro Manzoni ricorderà soprattutto per l’avvento della micidiale peste del 1630. Per finire con la guerra Ispano-Franco-Sabauda del 1635, quando cioè la Francia entrò completamente e definitivamente nell’agone della guerra dei 30 anni. Tuttavia l’armata di Luigi XIII considerò sempre secondario tale fronte, affidandogli lo scopo principale di tenere lontano dal teatro europeo il maggior numero possibile di temibili tercios spagnoli. Fu appunto con questi che i soldati francesi, ed i loro alleati sabaudi vennero alle mani nella maggiore delle battaglie combattute in Italia nel periodo, vale a dire la battaglia di Tornavento del 22 giugno 1636. Luca Cristini |
Tornavento - Lo schieramento sul campo di battaglia
(estratto dal libro di Luca Stefano Cristini)
L’esercito francese sotto il comando del Créquy si trincea come detto nella brughiera dietro le fortificazioni naturali create dagli alvei prosciugati dei due fossi della Cerca e del Pamperduto edi quelle campali approntate dalle truppe. Sulla destra dello schieramento si pose il de Florinville con due battaglioni di fanteria (di Florinville e Pierregourde), uno squadrone di cavalleria (Lestang) e una compagnia di gendarmi (Allencour).
Al centro, a ridosso del villaggio di Tornavento lo stesso Créquy con tre battaglioni di fanteria (Sault, Henrichemont e Roquefeuille) e sei squadroni di cavalleria di piccole dimensioni (Cauvisson, Lorena, Marolles, Bois David, de la Tour e La Ferté). Per finire sulla sinistra troviamo Plessis-Preslin con un battaglione di fanteria (Lyon), 3 o 4 squadroni di cavalleria (Chamblay, Moissac e Palluau-Cléranbaut), 3 compagnie di fucilieri (Courvoux, Veuterol e Saint Benoit) oltre a 300 moschettieri a cavallo (dragoni).
L’esercito sabaudo posto al comando di Vittorio Amedeo I, non venne completamente coinvolto nello scontro, ma l’avanguardia che prese parte alla battaglia era composta da almeno 2.500 fanti (Reggimento Conte di Marolles e di Cheynex , erroneamente denominati in alcuni documenti come reggimenti Savoia e Monferrato nomi questi usati solo 30 anni dopo) e diverse centinaia di cavalieri e dragoni. Il resto dell’esercito del Savoia è sparso sulla riva destra del Ticino
insieme a gran parte dell artiglieria e bagagli. Si stima che l’armata dei collegati fosse composta da circa 10.500 uomini, 8.000 fra picchieri e moschettieri e 2.500 fra cavalieri e dragoni.
L’esercito spagnolo guidato dal marchese di Leganés, basa la sua forza su nove tercios: quattro spagnoli (Tercio della Lombardia, Tercio de Mortora, Tercio de Caracena e Terciofijo del mar de Napoli), 2 battaglioni italiani (Carlo della Gatta e Giulio Cesare II Borromeo), 3 battaglioni tedeschi (Gaspare Visconti, Principe Borso di Modena e Gilles de Haes). La cavalleria si compone di una cinquantina di compagnie (30 degli stati di Milano, 11 da Napoli, sette cornette tedesche e due di guardie) alcune compagnie di dragoni e una batteria di artiglieria. L’esercito è schierato: sulla destra una leggera avanguardia di cavalleria guidata da Gerardo Gambacorta, verso il centro 5 Tercios e alcune compagnie di cavalleria napoletana, a sinistra una seconda massa d’urto con 4 Tercios e molte compagnie di cavalleria, infine dietro in riserva guidate da Filippo Spinola-Doria il resto della cavalleria e dragoni. La batteria di artiglieria accompagnò l’azione del Gambacorta sulla destra. In totale gli spagnoli possono contare su 10.000 picchieri e moschettieri oltre a quasi 4.000 fra cavalieri e dragoni. L’artiglieria spagnola aveva in dotazione cinque cannoni. Vale la pena di ricordare che fra i comandanti dei Tercio vi era anche Don Francisco de Melo, questi nel 1643 sarà il comandante dell'armata spagnola che invaderà la Francia incappando nella disastrosa sconfitta di Rocroi.
(estratto dal libro di Luca Stefano Cristini)
L’esercito francese sotto il comando del Créquy si trincea come detto nella brughiera dietro le fortificazioni naturali create dagli alvei prosciugati dei due fossi della Cerca e del Pamperduto edi quelle campali approntate dalle truppe. Sulla destra dello schieramento si pose il de Florinville con due battaglioni di fanteria (di Florinville e Pierregourde), uno squadrone di cavalleria (Lestang) e una compagnia di gendarmi (Allencour).
Al centro, a ridosso del villaggio di Tornavento lo stesso Créquy con tre battaglioni di fanteria (Sault, Henrichemont e Roquefeuille) e sei squadroni di cavalleria di piccole dimensioni (Cauvisson, Lorena, Marolles, Bois David, de la Tour e La Ferté). Per finire sulla sinistra troviamo Plessis-Preslin con un battaglione di fanteria (Lyon), 3 o 4 squadroni di cavalleria (Chamblay, Moissac e Palluau-Cléranbaut), 3 compagnie di fucilieri (Courvoux, Veuterol e Saint Benoit) oltre a 300 moschettieri a cavallo (dragoni).
L’esercito sabaudo posto al comando di Vittorio Amedeo I, non venne completamente coinvolto nello scontro, ma l’avanguardia che prese parte alla battaglia era composta da almeno 2.500 fanti (Reggimento Conte di Marolles e di Cheynex , erroneamente denominati in alcuni documenti come reggimenti Savoia e Monferrato nomi questi usati solo 30 anni dopo) e diverse centinaia di cavalieri e dragoni. Il resto dell’esercito del Savoia è sparso sulla riva destra del Ticino
insieme a gran parte dell artiglieria e bagagli. Si stima che l’armata dei collegati fosse composta da circa 10.500 uomini, 8.000 fra picchieri e moschettieri e 2.500 fra cavalieri e dragoni.
L’esercito spagnolo guidato dal marchese di Leganés, basa la sua forza su nove tercios: quattro spagnoli (Tercio della Lombardia, Tercio de Mortora, Tercio de Caracena e Terciofijo del mar de Napoli), 2 battaglioni italiani (Carlo della Gatta e Giulio Cesare II Borromeo), 3 battaglioni tedeschi (Gaspare Visconti, Principe Borso di Modena e Gilles de Haes). La cavalleria si compone di una cinquantina di compagnie (30 degli stati di Milano, 11 da Napoli, sette cornette tedesche e due di guardie) alcune compagnie di dragoni e una batteria di artiglieria. L’esercito è schierato: sulla destra una leggera avanguardia di cavalleria guidata da Gerardo Gambacorta, verso il centro 5 Tercios e alcune compagnie di cavalleria napoletana, a sinistra una seconda massa d’urto con 4 Tercios e molte compagnie di cavalleria, infine dietro in riserva guidate da Filippo Spinola-Doria il resto della cavalleria e dragoni. La batteria di artiglieria accompagnò l’azione del Gambacorta sulla destra. In totale gli spagnoli possono contare su 10.000 picchieri e moschettieri oltre a quasi 4.000 fra cavalieri e dragoni. L’artiglieria spagnola aveva in dotazione cinque cannoni. Vale la pena di ricordare che fra i comandanti dei Tercio vi era anche Don Francisco de Melo, questi nel 1643 sarà il comandante dell'armata spagnola che invaderà la Francia incappando nella disastrosa sconfitta di Rocroi.
La battaglia di Tornavento del 22 giugno 1636
Con l’aiuto di cinque pezzi di artiglieria (3 pezzi secondo altre fonti) ben posizionati, il fianco destro spagnolo, comandato dal generale napoletano Gerardo Gambacorta, investì pesantemente l’avamposto francese respingendo la fanteria francese fuori dal fosso della Cerca. Sul fronte sinistro la gran massa fanteria spagnola, con un tempo di ritardo, marciò verso le posizioni fortificate francesi create lungo il fosso del Panperduto. Contro gli uomini del Gambacorta, che nella mischia venne ucciso, fu ordinato dal Créquy un contrattacco di cavalleria che riuscì a fermare l’avanzata degli spagnoli consentendo ai francesi di serrare la falla. I numerosi tercios, formidabili falangi composte da picchieri al centro con 4 satelliti di moschettieri attorno, che provenivano da sud diedero allora l’assalto alle posizioni tenute dal reggimento Florinville, nel punto probabilmente più debole dello schieramento francese, dove il Pamperduto volgendo verso sud-est esauriva il suo scopo di utile trincea naturale.
A nord, nella zona della vecchia Dogana, la morte del Gambacorta provocò lo smarrimento fra le truppe spagnole, che a loro volta cedettero terreno alle sopravanzanti truppe francesi. In un crescendo di confusione, la situazione generale venne pareggiata dal momentaneo cedimento della fanteria francese a sud, nella zona di Tornavento. Tuttavia una volta giunti nelle trincee, i picchieri spagnoli abbandonato la loro lunga arma, diedero “l’arrembaggio” con spadoni e coltellacci alle difese francesi. Il momento fu davvero molto critico per le armi del re di Francia, vi era il pericolo per esse di venire rovinosamente rigettate giù dal ciglione. Solo il puntuale intervento dei reggimenti di cavalleria francesi e soprattutto delle avanguardie piemontesi guidate dal duca Vittorio Amedeo in persona, riportò gli spagnoli oltre le trincee. Un forte aiuto alla difesa francese venne anche dai loro pochi cannoni disponibili ma splendidamente piazzati, e che da corta distanza poterono far fuoco su ogni settore del fronte,semplicemente mutando la direzione di tiro. Lo scontro si accese allora lungo tutto il campo di battaglia, dando luogo a varie e confuse mischie e zuffe durante le quali tuttavia le linee francesi, rinforzate dall’intervento sabaudo riuscirono a mantenere le posizioni.
Dopo molte ore di serrato combattimento (da 12 a 15 ore) sotto un sole cocente, arse dalla sete, le truppe esauste reclamarono la giusta tregua.
Per primo il comandante spagnolo, marchese di Leganés capì che non poteva chiedere più nulla ai suoi uomini e prese la decisione di ripiegare su Castano Primo, e poi su Abbiategrasso nel tentativo di riorganizzare la sua armata. Parimenti sfiniti, francesi e piemontesi non si mossero all’inseguimento rimanendo nelle loro posizioni. Vittorio Amedeo e il Créquy vantarono dunque vittoria per aver tenutola posizione, anche se per la verità questo risultato non ebbe alcun seguito vantaggioso, anzi, l’invasione della Lombardia si rilevò un fallimento, e Milano rimase saldamente in mani spagnole senza più nessun altro pericolo. Due giorni dopo la battaglia i franco-sabaudi infatti ripiegarono oltre il Ticino e poco distante il Duca di Rohan che, nei piani originali avrebbe dovuto collegarsi con il Créquy se ne tornò mestamente in Valtellina. Tornavento ora poteva contare i suoi morti. Diverse come sempre le stime in questo campo. Oltrona Visconti nei suoi studi parlò di 3.000 morti complessivi, chi invece cita 2.000 perdite per parte e infine chi sostiene che i francesi ebbero il doppio delle perdite lamentate dagli spagnoli.
Con l’aiuto di cinque pezzi di artiglieria (3 pezzi secondo altre fonti) ben posizionati, il fianco destro spagnolo, comandato dal generale napoletano Gerardo Gambacorta, investì pesantemente l’avamposto francese respingendo la fanteria francese fuori dal fosso della Cerca. Sul fronte sinistro la gran massa fanteria spagnola, con un tempo di ritardo, marciò verso le posizioni fortificate francesi create lungo il fosso del Panperduto. Contro gli uomini del Gambacorta, che nella mischia venne ucciso, fu ordinato dal Créquy un contrattacco di cavalleria che riuscì a fermare l’avanzata degli spagnoli consentendo ai francesi di serrare la falla. I numerosi tercios, formidabili falangi composte da picchieri al centro con 4 satelliti di moschettieri attorno, che provenivano da sud diedero allora l’assalto alle posizioni tenute dal reggimento Florinville, nel punto probabilmente più debole dello schieramento francese, dove il Pamperduto volgendo verso sud-est esauriva il suo scopo di utile trincea naturale.
A nord, nella zona della vecchia Dogana, la morte del Gambacorta provocò lo smarrimento fra le truppe spagnole, che a loro volta cedettero terreno alle sopravanzanti truppe francesi. In un crescendo di confusione, la situazione generale venne pareggiata dal momentaneo cedimento della fanteria francese a sud, nella zona di Tornavento. Tuttavia una volta giunti nelle trincee, i picchieri spagnoli abbandonato la loro lunga arma, diedero “l’arrembaggio” con spadoni e coltellacci alle difese francesi. Il momento fu davvero molto critico per le armi del re di Francia, vi era il pericolo per esse di venire rovinosamente rigettate giù dal ciglione. Solo il puntuale intervento dei reggimenti di cavalleria francesi e soprattutto delle avanguardie piemontesi guidate dal duca Vittorio Amedeo in persona, riportò gli spagnoli oltre le trincee. Un forte aiuto alla difesa francese venne anche dai loro pochi cannoni disponibili ma splendidamente piazzati, e che da corta distanza poterono far fuoco su ogni settore del fronte,semplicemente mutando la direzione di tiro. Lo scontro si accese allora lungo tutto il campo di battaglia, dando luogo a varie e confuse mischie e zuffe durante le quali tuttavia le linee francesi, rinforzate dall’intervento sabaudo riuscirono a mantenere le posizioni.
Dopo molte ore di serrato combattimento (da 12 a 15 ore) sotto un sole cocente, arse dalla sete, le truppe esauste reclamarono la giusta tregua.
Per primo il comandante spagnolo, marchese di Leganés capì che non poteva chiedere più nulla ai suoi uomini e prese la decisione di ripiegare su Castano Primo, e poi su Abbiategrasso nel tentativo di riorganizzare la sua armata. Parimenti sfiniti, francesi e piemontesi non si mossero all’inseguimento rimanendo nelle loro posizioni. Vittorio Amedeo e il Créquy vantarono dunque vittoria per aver tenutola posizione, anche se per la verità questo risultato non ebbe alcun seguito vantaggioso, anzi, l’invasione della Lombardia si rilevò un fallimento, e Milano rimase saldamente in mani spagnole senza più nessun altro pericolo. Due giorni dopo la battaglia i franco-sabaudi infatti ripiegarono oltre il Ticino e poco distante il Duca di Rohan che, nei piani originali avrebbe dovuto collegarsi con il Créquy se ne tornò mestamente in Valtellina. Tornavento ora poteva contare i suoi morti. Diverse come sempre le stime in questo campo. Oltrona Visconti nei suoi studi parlò di 3.000 morti complessivi, chi invece cita 2.000 perdite per parte e infine chi sostiene che i francesi ebbero il doppio delle perdite lamentate dagli spagnoli.