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Induno
di Luisa Vignati
editing Roberto Bottiani
(frazione di Robecchetto con Induno). L'enorme complesso del palazzo dei marchesi Bossi di Castelmusso,
costruito nel luogo sicuramente più antico del comune
(Induno è un toponimo di origine celtica che significa "luogo fortificato"
che venne abitato dai Votodrones (acqua-pendio)
costruito nel luogo sicuramente più antico del comune
(Induno è un toponimo di origine celtica che significa "luogo fortificato"
che venne abitato dai Votodrones (acqua-pendio)
Induno...un piccolo borgo che dal ciglione domina la vallata del Ticino; un luogo romantico e di mistero. Quante volte abbiamo sentito raccontare del “passaggio segreto” che collegava il palazzo di Induno al castello di Castelletto, o della “settecentesca principessa pallida e triste” sepolta nella chiesetta sotto una bianca lapide in marmo, corrosa dal tempo e dai passi, con impresso lo stemma con le picche degli Henfeld e il bue andante dei Bossi ? (Lo stemma familiare dei Bossi:scudo di rosso con bue d'argento, passante, con le stelle; ciò significa che la famiglia Bossi era fiera ma soggetta alla legge di Dio (le stelle), il bue simboleggia attaccamento al lavoro e tranquillità, il campo rosso che il casato era valoroso e audace e il colore argento del bue che i Bossi parteggiavano per la chiesa, cioè per i guelfi.
(Ringrazio Claudio Bossi per le sue indicazioni)
La nobildonna diafana che un famoso medico degli anni passati diceva addirittura arrivare dalla Transilvania, morta mentre si trovava in villeggiatura in questo suo enorme palazzo di campagna...
Induno va sempre guardato con lo sguardo di chi è innamorato dei luoghi e della storia e sa vedere oltre il tempo; 300 persone vi abitavano un tempo, quando era la villa di campagna dei nobili Bossi, feudatari di Castelmusso; vediamo lo stemma non ancora inquartato dei Visconti, a prova del fatto che un tempo qui c'era probabilmente una torre di guardia della nobile famiglia milanese...in uno dei tre grandi cortili comunicanti, fan capolino meravigliose ringhiere in stile berain, tardo seicentesche; e poi ancora le scuderie, il vecchio palazzo del seicento e di fronte quello neoclassico, a cui, forse, mise mano il grande architetto Pollack che sicuramente qui soggiornò, dato che lui stesso lo conferma in una lettera.
“Teresa” - chiedo alla padrona di casa – è vero che c'è un passaggio segreto”?
“Certo – mi risponde – ora è stato murato, ma era con l'ingresso dalla cantina, dove c'è la vecchia caldaia, vieni che ti faccio vedere...”
“Ma scusa – ribadisco – come avevano risolto il problema della aerazione?”
“Non lo so, ma il passaggio c'era di sicuro...”
Questa cosa dei passaggi segreti è una mania che si trova un po' ovunque ma piano piano la mia incredulità va scemando: per quello di Turbigo, mi dice l'amico Giuseppe Leoni, è stato trovato addirittura un documento antico, ufficiale, che indica esattamente l'ingresso (da un particolare punto del pozzo del convento degli agostiniani), quindi c'era; nei pressi della villa di un famoso patriota l'ho visto coi miei occhi, lì, bello, ampio, ancora integro, spuntato durante dei lavori...che sia vero anche questo di Induno? Chi lo sa ma, soprattutto, perchè?
Forse perchè a Induno abitava, nel periodo del Risorgimento, il marchese Benigno Bossi, carbonaro?
L'uomo si era creato una via di fuga? E' molto probabile...
Alla fine del 1700, qui ad Induno abitavano due fratelli: il marchese detentore del titolo e del patrimonio, mantenuto integro di generazione in generazione col sistema del fedecommesso e del maggiorasco (occorre fare un po' di chiarezza su questi termini:nei tempi passati era d'uso presso le nobili famiglie milanesi l'uso di alcune regole, per evitare il frazionamento del patrimonio. Il maggiorasco prevedeva che tutti i beni di famiglia andassero da primogenito a primogenito maschio, una femmina veniva fatta sposare secondo alleanze nobiliari e tutti gli altri figli venivano avviati alla carriera ecclesiastica o delle armi; il fedecommesso o fidecommisso era l'obbligo da parte di chi riceveva l'eredità di mantenere intatto il patrimonio - che non poteva essere venduto-, trasmettendolo integro agli eredi e vivendo con le rendite di esso, così da preservare il patrimonio di famiglia), aveva sposato una sua ex governante e quindi i figli erano tagliati fuori dalla successione; comunque, dal matrimonio erano nate solo due figlie, di cui si perderanno le tracce e questo voleva dire che la famiglia doveva contare solo sul secondogenito, Giovanni, per la continuazione della dinastia... Strano personaggio questo Giovanni Bossi, avviato alla carriera ecclesiastica e finito col diventare colonnello dell'esercito austriaco sotto Maria Teresa. Caduto in disgrazia dopo essere finito prigioniero di Federico di Prussia – che lo trattò come un ospite di riguardo ed ebbe comprensione nei suoi confronti – lasciò l'esercito e si ritirò nel palazzo di Induno con la moglie, la famosa “principessa pallida e triste” delle leggende del luogo, Teresa Henfeld, secondo me originaria della Baviera.
Non sappiamo se la baronessa, isolata nella sua solitudine ad Induno, fosse pallida, però triste lo era di sicuro; tutti si aspettavano da lei che generasse dei figli maschi ma il matrimonio era risultato sterile e la linea dei Bossi era destinata ad esaurirsi.
Morì la baronessa, a 44 anni, nel pieno di una estate assolata, non sappiamo se di malattia o di crepacuore e venne sepolta nella chiesetta di Induno, sotto una candida lapide.
Giovanni assolse il suo compito e sposò una giovane ragazza, la contessa Chiara Rossini di Como, ebbe la benedizione di sei figli e nel 1802, quando il primogenito Benigno aveva 14 anni, raggiunse Teresa sotto il pavimento della chiesetta di Induno.
“Il cittadino Giovanni Bossi viene sepolto nella chiesa di Induno” recita il registro dei morti, ligio alle direttive napoleoniche che avevano abolito i titoli nobiliari...i francesi, che disgrazia...avevano saccheggiato le chiese del circondario e una pattuglia a cavallo aveva raggiunto Induno e minacciato di morte il vecchio marchese per aver ospitato in passato dei nobili scampati alla rivoluzione francese...
(Ringrazio Claudio Bossi per le sue indicazioni)
La nobildonna diafana che un famoso medico degli anni passati diceva addirittura arrivare dalla Transilvania, morta mentre si trovava in villeggiatura in questo suo enorme palazzo di campagna...
Induno va sempre guardato con lo sguardo di chi è innamorato dei luoghi e della storia e sa vedere oltre il tempo; 300 persone vi abitavano un tempo, quando era la villa di campagna dei nobili Bossi, feudatari di Castelmusso; vediamo lo stemma non ancora inquartato dei Visconti, a prova del fatto che un tempo qui c'era probabilmente una torre di guardia della nobile famiglia milanese...in uno dei tre grandi cortili comunicanti, fan capolino meravigliose ringhiere in stile berain, tardo seicentesche; e poi ancora le scuderie, il vecchio palazzo del seicento e di fronte quello neoclassico, a cui, forse, mise mano il grande architetto Pollack che sicuramente qui soggiornò, dato che lui stesso lo conferma in una lettera.
“Teresa” - chiedo alla padrona di casa – è vero che c'è un passaggio segreto”?
“Certo – mi risponde – ora è stato murato, ma era con l'ingresso dalla cantina, dove c'è la vecchia caldaia, vieni che ti faccio vedere...”
“Ma scusa – ribadisco – come avevano risolto il problema della aerazione?”
“Non lo so, ma il passaggio c'era di sicuro...”
Questa cosa dei passaggi segreti è una mania che si trova un po' ovunque ma piano piano la mia incredulità va scemando: per quello di Turbigo, mi dice l'amico Giuseppe Leoni, è stato trovato addirittura un documento antico, ufficiale, che indica esattamente l'ingresso (da un particolare punto del pozzo del convento degli agostiniani), quindi c'era; nei pressi della villa di un famoso patriota l'ho visto coi miei occhi, lì, bello, ampio, ancora integro, spuntato durante dei lavori...che sia vero anche questo di Induno? Chi lo sa ma, soprattutto, perchè?
Forse perchè a Induno abitava, nel periodo del Risorgimento, il marchese Benigno Bossi, carbonaro?
L'uomo si era creato una via di fuga? E' molto probabile...
Alla fine del 1700, qui ad Induno abitavano due fratelli: il marchese detentore del titolo e del patrimonio, mantenuto integro di generazione in generazione col sistema del fedecommesso e del maggiorasco (occorre fare un po' di chiarezza su questi termini:nei tempi passati era d'uso presso le nobili famiglie milanesi l'uso di alcune regole, per evitare il frazionamento del patrimonio. Il maggiorasco prevedeva che tutti i beni di famiglia andassero da primogenito a primogenito maschio, una femmina veniva fatta sposare secondo alleanze nobiliari e tutti gli altri figli venivano avviati alla carriera ecclesiastica o delle armi; il fedecommesso o fidecommisso era l'obbligo da parte di chi riceveva l'eredità di mantenere intatto il patrimonio - che non poteva essere venduto-, trasmettendolo integro agli eredi e vivendo con le rendite di esso, così da preservare il patrimonio di famiglia), aveva sposato una sua ex governante e quindi i figli erano tagliati fuori dalla successione; comunque, dal matrimonio erano nate solo due figlie, di cui si perderanno le tracce e questo voleva dire che la famiglia doveva contare solo sul secondogenito, Giovanni, per la continuazione della dinastia... Strano personaggio questo Giovanni Bossi, avviato alla carriera ecclesiastica e finito col diventare colonnello dell'esercito austriaco sotto Maria Teresa. Caduto in disgrazia dopo essere finito prigioniero di Federico di Prussia – che lo trattò come un ospite di riguardo ed ebbe comprensione nei suoi confronti – lasciò l'esercito e si ritirò nel palazzo di Induno con la moglie, la famosa “principessa pallida e triste” delle leggende del luogo, Teresa Henfeld, secondo me originaria della Baviera.
Non sappiamo se la baronessa, isolata nella sua solitudine ad Induno, fosse pallida, però triste lo era di sicuro; tutti si aspettavano da lei che generasse dei figli maschi ma il matrimonio era risultato sterile e la linea dei Bossi era destinata ad esaurirsi.
Morì la baronessa, a 44 anni, nel pieno di una estate assolata, non sappiamo se di malattia o di crepacuore e venne sepolta nella chiesetta di Induno, sotto una candida lapide.
Giovanni assolse il suo compito e sposò una giovane ragazza, la contessa Chiara Rossini di Como, ebbe la benedizione di sei figli e nel 1802, quando il primogenito Benigno aveva 14 anni, raggiunse Teresa sotto il pavimento della chiesetta di Induno.
“Il cittadino Giovanni Bossi viene sepolto nella chiesa di Induno” recita il registro dei morti, ligio alle direttive napoleoniche che avevano abolito i titoli nobiliari...i francesi, che disgrazia...avevano saccheggiato le chiese del circondario e una pattuglia a cavallo aveva raggiunto Induno e minacciato di morte il vecchio marchese per aver ospitato in passato dei nobili scampati alla rivoluzione francese...
Palazzo Bossi
Giovanni Ambrogio, la pecora nera dei Bossi
Simone Bossi fu un importante giureconsulto, avvocato del regio fisco, senatore, Presidente del Senato milanese.
Tra i suoi figli vi fu, purtroppo, anche una "pecora nera", Giovanni Ambrogio (1578-1644), cavaliere dell'Ordine di Malta, protagonista di uno degli episodi
di violenza che fecero scalpore, per la natura del fatto ed il personaggio, membro della dell'aristocrazia milanese. "Il giovane cavaliere - scrive il Visconti
- non solo consumò su di una giovane di Lonate Pozzolo il delitto, che don Rodrigo aveva solamente tentato; ma deve aver usato sulle autorità locali una
tale coercizione, che queste - terrorizzate - non osavano parlare. Di modo che il senato venne a cognizione del delitto nel 1609 ossia quattro anni dopo
che il crimine era stato commesso. E non basta: poiché non solo vi fu ratto di donna honesta, ma violazione di un monastero, e quindi di luogo immune,
con l'aggravante che era un luogo sacro [...]. Il senato milanese - con buona pace dei suoi detrattori - quando venne a conoscenza del misfatto, entrò in
grandissimo furore; e l'esser stato il giovine cavaliere, Giovanni Ambrogio, figlio di un presidente del senato non fu motivo per chiuder entrambi gli occhi.
Al contrario - informandone il governatore - proponeva che fosse immediatamente allontanato dallo stato "et Melitam se conferat ad navandam operam
militiae cui est adscriptus"..(dizionario bibliografico Treccani)
Baronessa Teresa Helfeld
La principessa bionda, pallida e triste del 1700, così si è tramandato il suo ricordo; la nobildonna che venne a morire ad Induno in una
estate assolata ed afosa.
Lei era Donna Teresa, nata baronessa Helfeld, moglie del nobile Giovanni Bossi dei marchesi di Castelmusso.
Aveva seguito il marito quando questi, colonnello dell'esercito austriaco, si era ritirato nella sua tenuta di Induno. Come avrà trascorso le estati afose, lei che veniva dal nord? Andando a pregare nella sua chiesa, dietro la grata - ancora oggi visibile - che permetteva ai nobili Bossi di seguire i riti sacri stando separati dai propri dipendenti? Passeggiando nel giardino, colmo di essenze rare? Dondolandosi sull'altalena? Stando al riparo nelle sue oltre cento stanze? Chissà se riuscì a conversare col famoso architetto Leopold Pollack che, sappiamo, soggiornò nel palazzo, ospite del marchese? Povera baronessa triste che non riuscì ad avere figli, il compito principale di una schiatta che voleva discendenza a cui trasmettere i titoli e i beni e che per questo a lungo ricorse anche alle monacazioni forzate delle sue figlie.
Teresa Helfeld Bossi morì a 44 anni, durante una torrida estate e da allora, dopo un funerale solo in effigie, riposa nella chiesetta, sotto la lastra di marmo con inciso il suo stemma, il bue andante dei Bossi e le picche incrociate degli Helfeld. Una prece.
Foto L.V.P
estate assolata ed afosa.
Lei era Donna Teresa, nata baronessa Helfeld, moglie del nobile Giovanni Bossi dei marchesi di Castelmusso.
Aveva seguito il marito quando questi, colonnello dell'esercito austriaco, si era ritirato nella sua tenuta di Induno. Come avrà trascorso le estati afose, lei che veniva dal nord? Andando a pregare nella sua chiesa, dietro la grata - ancora oggi visibile - che permetteva ai nobili Bossi di seguire i riti sacri stando separati dai propri dipendenti? Passeggiando nel giardino, colmo di essenze rare? Dondolandosi sull'altalena? Stando al riparo nelle sue oltre cento stanze? Chissà se riuscì a conversare col famoso architetto Leopold Pollack che, sappiamo, soggiornò nel palazzo, ospite del marchese? Povera baronessa triste che non riuscì ad avere figli, il compito principale di una schiatta che voleva discendenza a cui trasmettere i titoli e i beni e che per questo a lungo ricorse anche alle monacazioni forzate delle sue figlie.
Teresa Helfeld Bossi morì a 44 anni, durante una torrida estate e da allora, dopo un funerale solo in effigie, riposa nella chiesetta, sotto la lastra di marmo con inciso il suo stemma, il bue andante dei Bossi e le picche incrociate degli Helfeld. Una prece.
Foto L.V.P
Il generale Luigi Cadorna
Il gen. Luigi Cadorna, Maresciallo d'Italia, e la sua nonna di Induno (Robecchetto)
In questo periodo, in cui si avvicina il 4 novembre, ricordiamo che il gen. Cadorna ( comandante in capo dell'esercito italiano), ebbe, si può dire, radici anche nel nostro paese.
La nonna era infatti donna Virginia dei marchesi Bossi di Induno, dove la nobile famiglia possedeva terre e il bellissimo palazzo che, ancora oggi, costituisce la frazione di Robecchetto.
Donna Virginia, sorella del marchese Benigno Bossi (grande cospiratore nel periodo risorgimentale, venne condannato a morte in contumacia dagli austriali - nel frattempo il nobile era riparato in Svizzera), sposò Luigi Cadorna, nobile di Pallanza. Ci si chiede come mai Virginia fosse stata maritata con un nobile, si può dire, di provincia. Silvia Cavicchioli, in un bel volume sulla famiglia Cadorna, scrive che in famiglia si dice che il motivo stesse nella "bruttezza" di Virginia e un ritratto dell'epoca, in effetti, sembrerebbe avvalorare la tesi.
Il figlio di Virginia, e padre del maresciallo d'Italia, fu il generale Raffaele Cadorna (che nel 1870 guidò il V Corpo d'armata alla presa di Roma).
In questo periodo, in cui si avvicina il 4 novembre, ricordiamo che il gen. Cadorna ( comandante in capo dell'esercito italiano), ebbe, si può dire, radici anche nel nostro paese.
La nonna era infatti donna Virginia dei marchesi Bossi di Induno, dove la nobile famiglia possedeva terre e il bellissimo palazzo che, ancora oggi, costituisce la frazione di Robecchetto.
Donna Virginia, sorella del marchese Benigno Bossi (grande cospiratore nel periodo risorgimentale, venne condannato a morte in contumacia dagli austriali - nel frattempo il nobile era riparato in Svizzera), sposò Luigi Cadorna, nobile di Pallanza. Ci si chiede come mai Virginia fosse stata maritata con un nobile, si può dire, di provincia. Silvia Cavicchioli, in un bel volume sulla famiglia Cadorna, scrive che in famiglia si dice che il motivo stesse nella "bruttezza" di Virginia e un ritratto dell'epoca, in effetti, sembrerebbe avvalorare la tesi.
Il figlio di Virginia, e padre del maresciallo d'Italia, fu il generale Raffaele Cadorna (che nel 1870 guidò il V Corpo d'armata alla presa di Roma).
il Marchese Benignio Bossi giovane carbonaro
Il giovane Benigno – nato nel 1788 - guarda, ascolta e non sopporta la dominazione straniera e quando Napoleone nel 1805 si recherà presso la sua scuola e gli farà una domanda, se la farà ripetere dicendo che non aveva capito, perchè il generale Bonaparte non parlava bene l'italiano ma solo un misto di italiano e francese...
Tornarono gli austriaci e Benigno, ormai capofamiglia (era morto l'omonimo zio per cui il titolo di marchese era passato a lui), voleva liberare il norditalia dalla dominazione straniera e per tutta la vita si adopererà per la causa nazionale.
Si affiliò ai Federati Lombardi e la sua terra di Induno diventò luogo di transito per i patrioti che si recavano in Piemonte (dal Guado di Induno passò l'Unità d'Italia), presso la sua villa si tenevano riunioni di carbonari, nonostante la polizia austriaca tenesse il luogo sotto controllo (da qui, forse, la necessità del passaggio segreto per poter entrare e uscire indisturbati dal palazzo). Il suo compito era anche di intrattenere i rapporti fra i patrioti milanesi e i piemontesi ma ormai era nel mirino dei giudici austriaci come sovversivo.
Come sposo della sorella Virginia scelse un Cadorna e da lei discenderanno Raffaele, il generale che guidò il IV corpo d'armata nella breccia di Porta Pia e l'annessione di Roma nel 1870, e poi ancora il Maresciallo d'Italia Luigi Cadorna e indi Raffaele junior, comandante del CLN e Capo di Stato Maggiore.
A partire dal 1820, l'aderenza alle associazioni segrete venne punita dagli austriaci con la morte. Nel 1821 anche contro Benigno venne aperto un procedimento per delitto di alto tradimento. Accuse gravissime vennero formulate contro il marchese, che nel frattempo era riparato in Svizzera e lì lo raggiungerà dapprima la notizia del sequestro di tutti i suoi beni e poi, il 21 gennaio 1824, la sentenza definitiva di condanna a morte per il delitto di alto tradimento e la cancellazione del suo nome dalla Matricola di Nobiltà.
Anche Benigno Bossi, come molti nobili lombardi, apparteneva alla Massoneria, divenendo Gran Maestro.
Nel 1848, dopo l'insurrezione di Milano, il governo provvisorio chiese all'ormai sessantenne Benigno di recarsi come rappresentante dei milanesi presso la corte inglese e il marchese profuse in questo incarico la sua enorme energia e il suo inesauribile attaccamento alla causa nazionale, dimostrandosi un abile diplomatico.
Nello stesso anno, dopo la battaglia di Custoza, andò nella capitale sabauda per arruolare nell'esercito piemontese il figlio Edoardo, di venti anni, con la morte del quale si estinguerà la famiglia Bossi.
Benigno Bossi, dopo il 1859, tornerà in Italia in media una volta l'anno, morendo poi alla bella età di 82 anni.
Tornarono gli austriaci e Benigno, ormai capofamiglia (era morto l'omonimo zio per cui il titolo di marchese era passato a lui), voleva liberare il norditalia dalla dominazione straniera e per tutta la vita si adopererà per la causa nazionale.
Si affiliò ai Federati Lombardi e la sua terra di Induno diventò luogo di transito per i patrioti che si recavano in Piemonte (dal Guado di Induno passò l'Unità d'Italia), presso la sua villa si tenevano riunioni di carbonari, nonostante la polizia austriaca tenesse il luogo sotto controllo (da qui, forse, la necessità del passaggio segreto per poter entrare e uscire indisturbati dal palazzo). Il suo compito era anche di intrattenere i rapporti fra i patrioti milanesi e i piemontesi ma ormai era nel mirino dei giudici austriaci come sovversivo.
Come sposo della sorella Virginia scelse un Cadorna e da lei discenderanno Raffaele, il generale che guidò il IV corpo d'armata nella breccia di Porta Pia e l'annessione di Roma nel 1870, e poi ancora il Maresciallo d'Italia Luigi Cadorna e indi Raffaele junior, comandante del CLN e Capo di Stato Maggiore.
A partire dal 1820, l'aderenza alle associazioni segrete venne punita dagli austriaci con la morte. Nel 1821 anche contro Benigno venne aperto un procedimento per delitto di alto tradimento. Accuse gravissime vennero formulate contro il marchese, che nel frattempo era riparato in Svizzera e lì lo raggiungerà dapprima la notizia del sequestro di tutti i suoi beni e poi, il 21 gennaio 1824, la sentenza definitiva di condanna a morte per il delitto di alto tradimento e la cancellazione del suo nome dalla Matricola di Nobiltà.
Anche Benigno Bossi, come molti nobili lombardi, apparteneva alla Massoneria, divenendo Gran Maestro.
Nel 1848, dopo l'insurrezione di Milano, il governo provvisorio chiese all'ormai sessantenne Benigno di recarsi come rappresentante dei milanesi presso la corte inglese e il marchese profuse in questo incarico la sua enorme energia e il suo inesauribile attaccamento alla causa nazionale, dimostrandosi un abile diplomatico.
Nello stesso anno, dopo la battaglia di Custoza, andò nella capitale sabauda per arruolare nell'esercito piemontese il figlio Edoardo, di venti anni, con la morte del quale si estinguerà la famiglia Bossi.
Benigno Bossi, dopo il 1859, tornerà in Italia in media una volta l'anno, morendo poi alla bella età di 82 anni.