Enrico Acerbi
di Maria Gabriella Colombo
editing Roberto Bottiani
editing Roberto Bottiani
Cenni biografici
Enrico Francesco Acerbi nacque a Castano Primo il 25 ottobre 1785 dal dottor Giuseppe, medico condotto del paese, e da Marianna Trotti. Quarto di nove figli, all’età di undici anni rimase orfano del padre, morto a causa dell’epidemia di morbo petecchiale scoppiata nel 1786, una delle tante che si susseguivano allora nel corso degli anni. Il giovane Enrico potè comunque affrontare gli studi grazie all’aiuto di uno zio prima e della famiglia Borromeo poi , dimostrando particolare passione per gli studi scientifici : studiò presso i Barnabiti a Milano e frequentò la facoltà di medicina dell’Università di Pavia dove si laureò col massimo dei voti nel 1810. Si recò quindi a Ginevra ,dove rimase otto mesi, a Firenze, a Livorno ed a Roma , entrando in contatto con i più illustri medici del tempo. Ritornato a Milano, esercitò la professione medica all’ Ospedale Maggiore , prima come assistente e poi come primario; nello stesso tempo fu insegnante di storia naturale nei licei milanesi di Porta Nuova ( l’attuale liceo Parini ) e di Sant’Alessandro (l’attuale liceo Beccaria).
Nutriva anche una forte passione per gli studi umanistici : collaborò alla Biblioteca Italiana, nel 1809 compose un poemetto intitolato “ Venere Celeste”, pubblicò la vita di Angelo Poliziano nella raccolta degli Italiani illustri, lasciò manoscritti e diversi lavori incompiuti fra cui un commento alla Divina Commedia e parecchie poesie serie e scherzose , alcune delle quali in dialetto.
Nel 1814 si ammalò di morbo petecchiale durante un’epidemia scoppiata a Milano, ma riuscì a guarirne. Fu medico di famiglia del Manzoni, a cui fu legato da profonda e sincera amicizia.
Nel 1822 pubblicò la sua opera più importante intitolata : “ Dottrina teorico-pratica del morbo petecchiale con nuove ricerche intorno l’origine, l’indole, le cagioni predisponenti ed effettrici, la cura e la preservazione del morbo medesimo in particolare, e degli altri contagi in generale.”
La sua salute , però, negli anni seguenti si indebolì : la tisi lo consumò e il 5 dicembre 1827, a soli 42 anni, l’Acerbi morì a Tremezzo, sul lago di Como, dove aveva cercato invano un po’ di sollievo dalla malattia.
Venne sepolto nel cimitero di Tremezzo: la sua tomba andò purtroppo dispersa in seguito ai lavori di rifacimento del cimitero. Rimane solo una lapide sul muro della chiesa a ricordarne la memoria.
Enrico Francesco Acerbi nacque a Castano Primo il 25 ottobre 1785 dal dottor Giuseppe, medico condotto del paese, e da Marianna Trotti. Quarto di nove figli, all’età di undici anni rimase orfano del padre, morto a causa dell’epidemia di morbo petecchiale scoppiata nel 1786, una delle tante che si susseguivano allora nel corso degli anni. Il giovane Enrico potè comunque affrontare gli studi grazie all’aiuto di uno zio prima e della famiglia Borromeo poi , dimostrando particolare passione per gli studi scientifici : studiò presso i Barnabiti a Milano e frequentò la facoltà di medicina dell’Università di Pavia dove si laureò col massimo dei voti nel 1810. Si recò quindi a Ginevra ,dove rimase otto mesi, a Firenze, a Livorno ed a Roma , entrando in contatto con i più illustri medici del tempo. Ritornato a Milano, esercitò la professione medica all’ Ospedale Maggiore , prima come assistente e poi come primario; nello stesso tempo fu insegnante di storia naturale nei licei milanesi di Porta Nuova ( l’attuale liceo Parini ) e di Sant’Alessandro (l’attuale liceo Beccaria).
Nutriva anche una forte passione per gli studi umanistici : collaborò alla Biblioteca Italiana, nel 1809 compose un poemetto intitolato “ Venere Celeste”, pubblicò la vita di Angelo Poliziano nella raccolta degli Italiani illustri, lasciò manoscritti e diversi lavori incompiuti fra cui un commento alla Divina Commedia e parecchie poesie serie e scherzose , alcune delle quali in dialetto.
Nel 1814 si ammalò di morbo petecchiale durante un’epidemia scoppiata a Milano, ma riuscì a guarirne. Fu medico di famiglia del Manzoni, a cui fu legato da profonda e sincera amicizia.
Nel 1822 pubblicò la sua opera più importante intitolata : “ Dottrina teorico-pratica del morbo petecchiale con nuove ricerche intorno l’origine, l’indole, le cagioni predisponenti ed effettrici, la cura e la preservazione del morbo medesimo in particolare, e degli altri contagi in generale.”
La sua salute , però, negli anni seguenti si indebolì : la tisi lo consumò e il 5 dicembre 1827, a soli 42 anni, l’Acerbi morì a Tremezzo, sul lago di Como, dove aveva cercato invano un po’ di sollievo dalla malattia.
Venne sepolto nel cimitero di Tremezzo: la sua tomba andò purtroppo dispersa in seguito ai lavori di rifacimento del cimitero. Rimane solo una lapide sul muro della chiesa a ricordarne la memoria.
Il suo trattato :
“Dottrina teorico-pratica del morbo petecchiale con nuove ricerche intorno l’origine, l’indole,le cagioni predisponenti ed effettrici, la cura e la preservazione del morbo medesimo in particolare, e degli altri contagi in generale”
Enrico Acerbi ricopre un ruolo importante nella storia della medicina: nella sua opera più importante , il trattato sul morbo petecchiale pubblicato nel 1822 (anno in cui, a Dole, in Francia, da umili genitori nasceva Luigi Pasteur) e dedicato alla “cara memoria” del padre Giuseppe Acerbi , “dottore abilissimo in chirurgia”, egli anticipa la moderna batteriologia e le esperienze di Pasteur. L’importanza e l’originalità dell’opera sta infatti nella difesa dell’ipotesi, fino allora timidamente e raramente proposta, di contagi organizzati e viventi. Scrive: “ Mi son determinato di dare la preferenza, sopra tutte, a quella ipotesi che fa consistere la cagione efficiente dei contagi in particolari esseri organici, i quali, sotto di alcune circostanze, si sviluppano, vivono e si moltiplicano a danno dell’uomo.”
Sbarazzatosi delle esalazioni terrestri e delle influenze cosmiche e planetarie da considerare come causa dei contagi, arriva alla conclusione che il fomite, cioè la materia che accende il contagio,non è fatto di molecole morte, semplici o composte ma…”di una specifica sostanza organizzata la quale è capace di riprodursi secondo le leggi comuni di tutti gli esseri dotati di vita” cioè “ di alcune specie di esseri viventi parassiti i quali,in certe circostanze di tempo,di luogo e di persona, si gettano sui corpi umani, vi si sviluppano, si moltiplicano e dagli uni si comunicano negli altri principalmente per mezzo del contagio degli infermi coi sani. Quali siano questi esseri viventi morbifici noi lo ignoriamo. “ Scrive ancora l’Acerbi: “Ciascun contagio non esercita la sua azione indistintamente su tutti gli esseri; non su tutti quelli di un ordine intero; quasi sempre si limita ad una specie sola e di questa non tutti gli individui offende, ma soltanto coloro che hanno una particolare predisposizione a riceverlo, a moltiplicarlo e a mantenerlo in se stessi .” E ancora “ Quell’individuo che ha sofferto una volta l’operazione intera di un contagio perde ordinariamente l’attitudine di risentire di nuovo l’impressione del contagio medesimo.” E ancora :” Vi devono essere luoghi,tempi e circostanze, quali favorevoli e quali contrarie allo sviluppo e alla diffusione di ciascun morbo contagioso; e alcuni contagi sono propri di regioni determinate.”
Invita poi ad effettuare ricerche microscopiche esaminando attentamente la cute con le petecchie (le macchie di pus) sai dei cadaveri sia dei vivi. Menziona anche l’emerita attività svolta dal dottor Luigi Sacco,coraggioso paladino della vaccinazione antivaiolosa nel milanese e nel gallaratese(di cui Castano faceva allora parte), vaccinazione resa obbligatoria e gratuita dal governo napoleonico con un decreto del 5 novembre 1802.
Purtroppo il nostro scienziato non potrà sviluppare ulteriormente le sue ricerche a causa della sua prematura scomparsa.
“Dottrina teorico-pratica del morbo petecchiale con nuove ricerche intorno l’origine, l’indole,le cagioni predisponenti ed effettrici, la cura e la preservazione del morbo medesimo in particolare, e degli altri contagi in generale”
Enrico Acerbi ricopre un ruolo importante nella storia della medicina: nella sua opera più importante , il trattato sul morbo petecchiale pubblicato nel 1822 (anno in cui, a Dole, in Francia, da umili genitori nasceva Luigi Pasteur) e dedicato alla “cara memoria” del padre Giuseppe Acerbi , “dottore abilissimo in chirurgia”, egli anticipa la moderna batteriologia e le esperienze di Pasteur. L’importanza e l’originalità dell’opera sta infatti nella difesa dell’ipotesi, fino allora timidamente e raramente proposta, di contagi organizzati e viventi. Scrive: “ Mi son determinato di dare la preferenza, sopra tutte, a quella ipotesi che fa consistere la cagione efficiente dei contagi in particolari esseri organici, i quali, sotto di alcune circostanze, si sviluppano, vivono e si moltiplicano a danno dell’uomo.”
Sbarazzatosi delle esalazioni terrestri e delle influenze cosmiche e planetarie da considerare come causa dei contagi, arriva alla conclusione che il fomite, cioè la materia che accende il contagio,non è fatto di molecole morte, semplici o composte ma…”di una specifica sostanza organizzata la quale è capace di riprodursi secondo le leggi comuni di tutti gli esseri dotati di vita” cioè “ di alcune specie di esseri viventi parassiti i quali,in certe circostanze di tempo,di luogo e di persona, si gettano sui corpi umani, vi si sviluppano, si moltiplicano e dagli uni si comunicano negli altri principalmente per mezzo del contagio degli infermi coi sani. Quali siano questi esseri viventi morbifici noi lo ignoriamo. “ Scrive ancora l’Acerbi: “Ciascun contagio non esercita la sua azione indistintamente su tutti gli esseri; non su tutti quelli di un ordine intero; quasi sempre si limita ad una specie sola e di questa non tutti gli individui offende, ma soltanto coloro che hanno una particolare predisposizione a riceverlo, a moltiplicarlo e a mantenerlo in se stessi .” E ancora “ Quell’individuo che ha sofferto una volta l’operazione intera di un contagio perde ordinariamente l’attitudine di risentire di nuovo l’impressione del contagio medesimo.” E ancora :” Vi devono essere luoghi,tempi e circostanze, quali favorevoli e quali contrarie allo sviluppo e alla diffusione di ciascun morbo contagioso; e alcuni contagi sono propri di regioni determinate.”
Invita poi ad effettuare ricerche microscopiche esaminando attentamente la cute con le petecchie (le macchie di pus) sai dei cadaveri sia dei vivi. Menziona anche l’emerita attività svolta dal dottor Luigi Sacco,coraggioso paladino della vaccinazione antivaiolosa nel milanese e nel gallaratese(di cui Castano faceva allora parte), vaccinazione resa obbligatoria e gratuita dal governo napoleonico con un decreto del 5 novembre 1802.
Purtroppo il nostro scienziato non potrà sviluppare ulteriormente le sue ricerche a causa della sua prematura scomparsa.
La casa natale di Enrico Acerbi
La sua casa natale era un edificio signorile situato nel centro dell’attuale piazza Mazzini: negli ultimi anni è stata oggetto di una ristrutturazione rispettosa dello stile e della struttura precedenti. L’attuale parte gialla è la più antica, la parte rosa corrisponde a quella costruita nei primi del Novecento, come si può vedere dalle foto della piazza, una di fine Ottocento, in cui compare solo un muro di cinta accanto al corpo dell’edificio, e una dei primi del Novecento, nella quale si intravede un’impalcatura che fa pensare all’inizio dei lavori per la costruzione di quella parte che oggi è dipinta di rosa. Ai tempi dell’Acerbi esisteva solo la parte centrale, con il bel balcone in ferro battuto.
La sua casa natale era un edificio signorile situato nel centro dell’attuale piazza Mazzini: negli ultimi anni è stata oggetto di una ristrutturazione rispettosa dello stile e della struttura precedenti. L’attuale parte gialla è la più antica, la parte rosa corrisponde a quella costruita nei primi del Novecento, come si può vedere dalle foto della piazza, una di fine Ottocento, in cui compare solo un muro di cinta accanto al corpo dell’edificio, e una dei primi del Novecento, nella quale si intravede un’impalcatura che fa pensare all’inizio dei lavori per la costruzione di quella parte che oggi è dipinta di rosa. Ai tempi dell’Acerbi esisteva solo la parte centrale, con il bel balcone in ferro battuto.
Enrico Acerbi e Alessandro Manzoni
Il Manzoni e l’Acerbi erano coetanei, entrambi del 1785: Alessandro nacque a Milano il 7 marzo da don Pietro Manzoni e da Giulia Beccaria, figlia di Cesare Beccaria, l’autore del trattato “Dei delitti e delle pene”; Enrico vide la luce a Castano il 25 ottobre.
Entrambi frequentarono il Collegio Longone dei Padri Barnabiti a Milano: molto probabilmente risale agli anni della scuola la loro conoscenza, trasformatasi poi col tempo in una profonda e sentita amicizia cementata anche dal fatto che l’Acerbi fu medico di famiglia dei Manzoni ( un ritratto ad olio dell’Acerbi si trova nella villa di Brusuglio ).
Nel capitolo XXVIII dei Promessi Sposi, quello della carestia, il Manzoni descrive le pessime condizioni in cui versavano gli accattoni e gli affamati sani ed infermi che si trascinavano e cadevano per le vie e che furono ammassati nel lazzaretto: affollamento eccessivo- cibo pessimo- mancanza d’acqua, per non parlare del clima quantomeno bizzarro con alternanza di piogge ostinate a siccità ancora più ostinata …” E non farà stupore che la mortalità crescesse e regnasse in quel recinto a segno di prendere aspetto e, presso molti, nome di pestilenza; sia che la riunione e l’aumento di tutte quelle cause non facesse che aumentare l’attività di un’influenza puramente epidemica sia ( come par che avvenga nelle carestie anche men gravi e meno prolungate di quella) che vi avesse luogo un certo contagio, il quale nei corpi affetti e preparati dalla cattiva qualità degli alimenti, dall’intemperie, dal sudiciume, dal travaglio e dall’avvilimento trovi la tempera, per dir così, e la stagione sua propria, le condizioni necessarie in somma per nascere, nutrirsi e moltiplicare ( se a un ignorante è lecito buttar là queste parole, dietro l’ipotesi proposta da alcuni fisici e riproposta da ultimo, con molte ragioni e con molta riserva da uno , diligente quanto ingegnoso *)….
* Del morbo petecchiale … e degli altri contagi in generale..” opera del dott F. Enrico Acerbi, Cap III, § 1 e 2
E’ l’unica citazione di un autore vivente all’epoca della pubblicazione dei Promessi Sposi che compare nel romanzo.
La proprietà di Giulia Manzoni Beccaria in quel di Castano La madre del Manzoni si separò dal marito nel 1792 per seguire, prima in Inghilterra e poi a Parigi, il conte Carlo Imbonati , uomo colto e ricco che , morendo nel 1805, le lasciò in eredità tutti i suoi beni fra i quali anche una proprietà , in quel di Castano, quasi fronteggiante la casa parrocchiale , in via del Ciocchè n° 29 (l’attuale via S. Antonio) : “un sobrio edificio da nobile, di un sol piano fuori terra come la maggior parte delle dimore della nostra campagna “ ( questa è la descrizione che ne fa Antonio Acerbi, zio di Enrico, ragionatt e factotum di Donna Giulia che vendette la proprietà nel 1813). |
Leggendo alcune lettere tratte dal carteggio manzoniano….
L’Acerbi fu legato anche a Giulia Beccaria da stima ed affetto veri e profondi, come ben testimoniano alcune lettere scritte negli ultimi due anni della sua vita, nel 1826 e 1827, quando la malattia lo stava ormai consumando.
Eccone alcuni frammenti che mettono in evidenza la sensibilità e la gentilezza d’animo del Nostro, la consapevolezza della gravità del suo stato di salute, il suo amore per la lettura, il senso di solitudine che lo opprime nel soggiorno forzato sul lago di Como alla ricerca di un clima in grado di aiutarlo a migliorare o quantomeno a sopportare meglio la malattia, la rassegnazione di fronte alla morte. Ma colpisce soprattutto,in modo evidente, il legame viscerale che lega l’Acerbi al “ suo Castano “, che evidentemente era sempre nel suo cuore grazie anche alla presenza di una sorella maritata a Castano appunto.
Lettera 418: A donna Giulia Manzoni Beccaria Milano, venerdì 22 settembre 1826
……….”Probabilmente andrò sul lago di Como in Tramezzina , che è clima dolce, da potervi passare,al bisogno,anche l’inverno. Questa, mia cara donna Giulia, è in breve la storia della mia vita dopo che son partito da Brusuglio; storia,come vede, dolorosa. Almeno andasse a finir bene! Ma sono rassegnato a qualunque sorte, e ne ho veduti tanti altri a morire più giovani di me, che bisogna pure farsi una ragione in questo viaggio, diverso in apparenza, ma in sostanza eguale per tutti…..”
Lettera 419: A donna Giulia Manzoni nata Beccaria, a Brusuglio. Milano,sabato 23 settembre 1826
…..” Non scrivo più perché sono un poco stanco e debole. Interpreti essa i sentimenti che le nutro; riceva i più rispettosi e cordiali saluti, unitamente alla cara sua famiglia; e li riceva anche da parte di mia sorella. Non parlo della sua lettera d’ieri: mi ha versato nell’anima un balsamo di consolazione indicibile, mi ha fatto piangere con grande sollievo. ……. In questo tempo di soffrimento e d’ozio vorrei pur leggere qualche cosa di veramente utile. Io sto male di opere ascetiche. Preghi il di lei figlio se me ne volesse mandare o suggerire una. Quello che piace e soddisfa lui non può essere che pienamente accetto a me. ….”
Lettera 420: A donna Giulia Manzoni nata Beccaria, a Milano. Venzago,sabato 7 ottobre 1826
……”Mi spiace che la stagione non è favorevole, e purtroppo abbiamo un pessimo autunno….Il cattivo tempo mi ha impedito di effettuare la mia gita sul lago di Como martedì passato, come mi ero proposto. Adesso sono poi costretto a differire, per concertare prima il mezzo di trasporto sul lago giacchè vorrei servirmi di una barca particolare e chiusa a vetri. …
….Non ho parole per ringraziarla del pronto invio che mi ha fatto del libro la Morale cattolica e degl’ Inni Sacri di suo figlio. Ho cominciato a leggere il primo… è veramente un’opera santa, inspirata da Dio ad un suo eletto. Vorrei che fosse studiata e diffusa più di quello che lo è, perché è scritta con una forza di argomenti ed una dolcezza di sentimenti che convince e conquista gli animi.
Non le scrivo più perché mi stanco presto di tenere la penna. Non mancherò di darle presto le mie notizie dal lago, dove spero di recarmi fra pochi giorni….”
Lettera 422: A donna Giulia Manzoni Beccaria, a Milano. Balbiano, 15 ottobre 1826
“In sei giorni che mi trovo sul lago provo già qualche vantaggio dal clima…. Continuo a stare in ozio per necessità; le occupazioni di mente mi fanno male. Non trascuro per altro di leggere i libri che mi ha inviato suo figlio, e questa è l’unica mia lettura, per quanto posso. Con questa mia riceverà una borsa fatta da me. ….E’ cattiva seta e peggio lavoro; ma sono certo che anche così le sarà accetta……”
Lettera 423: A donna Giulia Manzoni Beccaria, a Milano. Balbiano,2 novembre 1826
……”Sono incerto di passare l’inverno in questi paesi. Non ho ancora trovato una casa conveniente in Tremezzina, dove vorrei pur collocarmi,per farvi una prova perfetta di questo clima. Qui l’aria è di gran lunga più calda che a Milano e non ha ombra di umidità; solo temo il dominio dei venti periodici e la qualità dell’aria stessa un po’ frizzante per chi soffre di petto……. Ho con me una mia sorella, quella maritata in Castano, che mi assiste a perfezione….. Tanti e poi tanti saluti al suo Alessandro ed anche un po’ mio; a donna Enrichetta, donna Giulietta, il buon Pietrino,a tutta la famiglia e gli amici comuni. …”
Lettera 426: A donna Giulia Manzoni nata Beccaria, a Milano. Balbiano,3 dicembre 1826
……”In un mese e più non ho potuto uscire di casa che quattro o cinque volte: ella veda in che isolamento e tristezza mi trovi. …Mi occupo un poco a tavolino ed a far borse; cerco di sopportare alla meglio la mia situazione e supplisco al sereno colla pazienza. …….Che differenza tra le beate sere che potevo passare in casa Manzoni e queste che mi toccano nel deserto di Balbiano! …..Aspetto con impazienza che sia uscito il romanzo tanto desiderato per rileggerlo fin che son sazio. ….”
Lettera 429: A donna Giulia Manzoni nata Beccaria,a Milano. Tramezzo,21 gennaio 1827
…….” Per mia mala sorte abbiamo qui un inverno nevoso,burrascosissimo. In gennaio abbiamo i venti di marzo, sicchè io non posso passeggiar che di raro e mi tocca star chiuso in camera col più bel sole. ….E’ vero che anche in Milano la primavera è pessima; ma suol esserla dappertutto; e poi si fa presto al bisogno a ritirarsi in qualche sito convenevole, come sarebbe al mio Castano.”
Lettera 492: A donna Giulia Manzoni Beccaria, a Milano. Alla Poncetta, 17 novembre 1827
“ Mia carissima donna Giulia, mia dilettissima seconda Mammina.
….Già da un pezzo sento che mi approssimo alla mia fine e prego e scongiuro la Beata Vergine SS.ma e tutti i Santi d’intercedermi la grazia della pazienza, della rassegnazione, di un intero abbandono alla volontà di Dio e di una perseveranza finale……In caso che peggiorassi ho risolto di trasportarmi a Milano a finire i miei giorni in seno alla mia famiglia e con quei conforti dell’anima che qui mi mancano quasi tutti, isolato come mi trovo……Conterei anche molto sui conforti dei miei amici e sopra tutto su quelli della mia buona Donna Giulia, vicino a cui amerei chiudere gli occhi nella pace del Signore. Mia sorella Maddalenina e lei sono quelle che più desidero. Non parlo di quell’angelo di Donna Enrichetta e del suo figlio Alessandro, che spero essi pure non mi abbandoneranno…..”
PS: Nel corso del tempo Castano si è forse dimenticato di questo suo illustre concittadino: gli sono state dedicate una via, quella delle scuole elementari, e , nel 1956, la scuola media , su proposta del dott. Vito Vitalone alla preside di allora, prof.ssa Anna Barberi. I Castanesi di oggi potrebbero almeno collocare una lapide sulla facciata della sua casa natale in memoria di un concittadino di tale prestigio e fama in campo medico.
L’Acerbi fu legato anche a Giulia Beccaria da stima ed affetto veri e profondi, come ben testimoniano alcune lettere scritte negli ultimi due anni della sua vita, nel 1826 e 1827, quando la malattia lo stava ormai consumando.
Eccone alcuni frammenti che mettono in evidenza la sensibilità e la gentilezza d’animo del Nostro, la consapevolezza della gravità del suo stato di salute, il suo amore per la lettura, il senso di solitudine che lo opprime nel soggiorno forzato sul lago di Como alla ricerca di un clima in grado di aiutarlo a migliorare o quantomeno a sopportare meglio la malattia, la rassegnazione di fronte alla morte. Ma colpisce soprattutto,in modo evidente, il legame viscerale che lega l’Acerbi al “ suo Castano “, che evidentemente era sempre nel suo cuore grazie anche alla presenza di una sorella maritata a Castano appunto.
Lettera 418: A donna Giulia Manzoni Beccaria Milano, venerdì 22 settembre 1826
……….”Probabilmente andrò sul lago di Como in Tramezzina , che è clima dolce, da potervi passare,al bisogno,anche l’inverno. Questa, mia cara donna Giulia, è in breve la storia della mia vita dopo che son partito da Brusuglio; storia,come vede, dolorosa. Almeno andasse a finir bene! Ma sono rassegnato a qualunque sorte, e ne ho veduti tanti altri a morire più giovani di me, che bisogna pure farsi una ragione in questo viaggio, diverso in apparenza, ma in sostanza eguale per tutti…..”
Lettera 419: A donna Giulia Manzoni nata Beccaria, a Brusuglio. Milano,sabato 23 settembre 1826
…..” Non scrivo più perché sono un poco stanco e debole. Interpreti essa i sentimenti che le nutro; riceva i più rispettosi e cordiali saluti, unitamente alla cara sua famiglia; e li riceva anche da parte di mia sorella. Non parlo della sua lettera d’ieri: mi ha versato nell’anima un balsamo di consolazione indicibile, mi ha fatto piangere con grande sollievo. ……. In questo tempo di soffrimento e d’ozio vorrei pur leggere qualche cosa di veramente utile. Io sto male di opere ascetiche. Preghi il di lei figlio se me ne volesse mandare o suggerire una. Quello che piace e soddisfa lui non può essere che pienamente accetto a me. ….”
Lettera 420: A donna Giulia Manzoni nata Beccaria, a Milano. Venzago,sabato 7 ottobre 1826
……”Mi spiace che la stagione non è favorevole, e purtroppo abbiamo un pessimo autunno….Il cattivo tempo mi ha impedito di effettuare la mia gita sul lago di Como martedì passato, come mi ero proposto. Adesso sono poi costretto a differire, per concertare prima il mezzo di trasporto sul lago giacchè vorrei servirmi di una barca particolare e chiusa a vetri. …
….Non ho parole per ringraziarla del pronto invio che mi ha fatto del libro la Morale cattolica e degl’ Inni Sacri di suo figlio. Ho cominciato a leggere il primo… è veramente un’opera santa, inspirata da Dio ad un suo eletto. Vorrei che fosse studiata e diffusa più di quello che lo è, perché è scritta con una forza di argomenti ed una dolcezza di sentimenti che convince e conquista gli animi.
Non le scrivo più perché mi stanco presto di tenere la penna. Non mancherò di darle presto le mie notizie dal lago, dove spero di recarmi fra pochi giorni….”
Lettera 422: A donna Giulia Manzoni Beccaria, a Milano. Balbiano, 15 ottobre 1826
“In sei giorni che mi trovo sul lago provo già qualche vantaggio dal clima…. Continuo a stare in ozio per necessità; le occupazioni di mente mi fanno male. Non trascuro per altro di leggere i libri che mi ha inviato suo figlio, e questa è l’unica mia lettura, per quanto posso. Con questa mia riceverà una borsa fatta da me. ….E’ cattiva seta e peggio lavoro; ma sono certo che anche così le sarà accetta……”
Lettera 423: A donna Giulia Manzoni Beccaria, a Milano. Balbiano,2 novembre 1826
……”Sono incerto di passare l’inverno in questi paesi. Non ho ancora trovato una casa conveniente in Tremezzina, dove vorrei pur collocarmi,per farvi una prova perfetta di questo clima. Qui l’aria è di gran lunga più calda che a Milano e non ha ombra di umidità; solo temo il dominio dei venti periodici e la qualità dell’aria stessa un po’ frizzante per chi soffre di petto……. Ho con me una mia sorella, quella maritata in Castano, che mi assiste a perfezione….. Tanti e poi tanti saluti al suo Alessandro ed anche un po’ mio; a donna Enrichetta, donna Giulietta, il buon Pietrino,a tutta la famiglia e gli amici comuni. …”
Lettera 426: A donna Giulia Manzoni nata Beccaria, a Milano. Balbiano,3 dicembre 1826
……”In un mese e più non ho potuto uscire di casa che quattro o cinque volte: ella veda in che isolamento e tristezza mi trovi. …Mi occupo un poco a tavolino ed a far borse; cerco di sopportare alla meglio la mia situazione e supplisco al sereno colla pazienza. …….Che differenza tra le beate sere che potevo passare in casa Manzoni e queste che mi toccano nel deserto di Balbiano! …..Aspetto con impazienza che sia uscito il romanzo tanto desiderato per rileggerlo fin che son sazio. ….”
Lettera 429: A donna Giulia Manzoni nata Beccaria,a Milano. Tramezzo,21 gennaio 1827
…….” Per mia mala sorte abbiamo qui un inverno nevoso,burrascosissimo. In gennaio abbiamo i venti di marzo, sicchè io non posso passeggiar che di raro e mi tocca star chiuso in camera col più bel sole. ….E’ vero che anche in Milano la primavera è pessima; ma suol esserla dappertutto; e poi si fa presto al bisogno a ritirarsi in qualche sito convenevole, come sarebbe al mio Castano.”
Lettera 492: A donna Giulia Manzoni Beccaria, a Milano. Alla Poncetta, 17 novembre 1827
“ Mia carissima donna Giulia, mia dilettissima seconda Mammina.
….Già da un pezzo sento che mi approssimo alla mia fine e prego e scongiuro la Beata Vergine SS.ma e tutti i Santi d’intercedermi la grazia della pazienza, della rassegnazione, di un intero abbandono alla volontà di Dio e di una perseveranza finale……In caso che peggiorassi ho risolto di trasportarmi a Milano a finire i miei giorni in seno alla mia famiglia e con quei conforti dell’anima che qui mi mancano quasi tutti, isolato come mi trovo……Conterei anche molto sui conforti dei miei amici e sopra tutto su quelli della mia buona Donna Giulia, vicino a cui amerei chiudere gli occhi nella pace del Signore. Mia sorella Maddalenina e lei sono quelle che più desidero. Non parlo di quell’angelo di Donna Enrichetta e del suo figlio Alessandro, che spero essi pure non mi abbandoneranno…..”
PS: Nel corso del tempo Castano si è forse dimenticato di questo suo illustre concittadino: gli sono state dedicate una via, quella delle scuole elementari, e , nel 1956, la scuola media , su proposta del dott. Vito Vitalone alla preside di allora, prof.ssa Anna Barberi. I Castanesi di oggi potrebbero almeno collocare una lapide sulla facciata della sua casa natale in memoria di un concittadino di tale prestigio e fama in campo medico.